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Le pronunce hanno un carattere fondamentale perché sono profondamente innovative di un orientamento in precedenza assunto dal TAR del Lazio, finora immutato e potrebbero assumere un notevole impatto sul contenzioso ad oggi pendente, oltre che favorire la certezza e la stabilità degli investimenti.
Il caso di specie tratta di un procedimento di annullamento d’ufficio avviato dal Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.a. che aveva annullato una serie di richieste di verifica e certificazione (RVC) dei risparmi conseguiti da altrettanti interventi di efficientamento energetico e, di conseguenza, aveva dapprima sospeso l’erogazione dei Titoli di Efficienza Energetica e, in seguito, richiesto la restituzione degli incentivi in precedenza erogati all’operatore.
L’annullamento si basava sulla mancata trasmissione da parte dell’operatore, nel corso del procedimento di annullamento di ufficio, di copiosa documentazione che, a detta dell’Ente, sarebbe stata necessaria per il mantenimento degli incentivi.
Due le questioni – di fondamentale importanza – trattate dal Consiglio di Stato:
(1) la natura del potere esercitato dal GSE e il relativo obbligo del giudice di valutarla caso per caso;
(2) la possibilità o meno per il GSE di richiedere, in un momento successivo all’approvazione dei progetti, documentazione la cui conservazione non era originariamente prevista.
Sulla base dei motivi sollevati in appello, il giudice ha anzitutto analizzato la natura del potere esercitato dal GSE. Quest’ultimo infatti sosteneva la legittimità e la fondatezza del provvedimento di annullamento d’ufficio in quanto sorto all’esito dell’esercizio del potere di verifica e controllo previsto all’articolo 42, del d.lgs. n. 28/2011 in materia di incentivi pubblici erogati dal GSE, che, a fronte di “violazioni rilevanti”, comporta la decadenza dagli incentivi.
Il giudice, tuttavia, considerate le tesi sostenute dalle parti, ha chiarito che la valutazione della natura del potere esercitato dal GSE debba essere effettuata caso per caso, non potendosi dare per scontato che il potere esercitato sia sempre quello di decadenza previsto dall’art. 42 d.lgs. 28/2011. In particolare, per compiere tale valutazione, è necessario considerare sia elementi sul piano formale che sul piano sostanziale.
Sul primo punto, il giudice, alla luce del tenore letterale delle espressioni utilizzate nei provvedimenti e del valore sistematico e funzionale che le stesse assumono rispetto all’oggetto dell’azione amministrativa, secondo le forme, i contenuti e i fini che hanno caratterizzato l’andamento del procedimento amministrativo, rileva come laddove il GSE adotti termini come “autotutela” e “annullamento d’ufficio”, richiamando espressamente la legge generale che tratta dei principi del procedimento amministrativo (L. 241/1990), questo sia sintomo, sul piano formale, di esercizio del potere di annullamento.
Quanto al piano sostanziale, il Consiglio di Stato ha appurato che il provvedimento impugnato è stato determinato non già da accertate violazioni o trasgressioni, da parte del beneficiario degli incentivi, di previe e puntuali prescrizioni contenute in norme di legge o di regolamento o in atti amministrativi generali, e neppure da esiti sfavorevoli in sede di verifica della veridicità (o meno) delle dichiarazioni rese e dei documenti prodotti (che sono poi le ipotesi tipiche su cui si esplica il diverso potere di verifica e controllo del G.S.E.), ma dalla carenza di documentazione asseritamente necessaria ab initio per l’ottenimento del beneficio.
Pertanto, la pretesa del G.S.E. di accertare un’illegittimità originaria del provvedimento di concessione degli incentivi, sulla base della quale annullare tale atto, in tali casi è espressione dell’esercizio di un potere sostanziale di autotutela e non di decadenza.
Di conseguenza, l’Amministrazione deve applicare il regime giuridico pertinente al potere che sta esercitando, altrimenti si verrebbero a configurare dei poteri ibridi, in cui l’Amministrazione combina basi legali differenti allo scopo di fruire degli effetti giuridici maggiormente convenienti rispetto al fine di volta in volta perseguito. Ciò risulta contrario a numerosi principi che regolano il procedimento amministrativo e, come statuito dal giudice, risulta “inaccettabile”.
Accertato dunque che dal punto di vista formale e sostanziale si trattava dell’esercizio di un potere di autotutela e non di decadenza, il regime giuridico che regola tale potere è quanto previsto all’articolo 21nonies della L. 241/1990, che prevede, prima dell’adozione di un provvedimento negativo, la ponderazione tra gli interessi pubblici e privati coinvolti e il rispetto del termine di 18 mesi tra il provvedimento di attribuzione dei vantaggi economici e l’annullamento degli stessi, che, nel caso di specie, era stato ampiamente superato.
Entrando nel merito delle motivazioni che hanno spinto il GSE ad adottare un provvedimento di annullamento, l’Ente sosteneva di non poter comunque applicare al caso di specie i principi dell’articolo 21nonies, perché l’appellante avrebbe rappresentato “una situazione diversa da quella reale” e, dunque, si rientrerebbe nella deroga del comma 3bis dell’art.42 del d. lgs. 28/2011, che deroga ai principi dell’art. 21nonies in caso di dichiarazioni false o mendaci rese dell’operatore.
Come già sopra illustrato, il giudice non ha però condiviso la tesi difensiva dell’Amministrazione, in quanto non vi è stata alcuna effettiva verifica da parte del GSE rispetto alla dimostrazione delle presunte falsità.
Il secondo principio cardine che emerge dalla sentenza è relativo alla qualità e alla quantità della documentazione da conservare.
Il GSE, infatti, aveva posto a fondamento dell’annullamento il fatto che l’appellante non avesse prodotto e conservato della copiosa documentazione.
Come riconosciuto dal giudice, tuttavia, all’epoca della presentazione delle richieste di incentivo non vi era alcuna norma che stabilisse ex ante quale e quanta documentazione andasse conservata per essere prodotta a richiesta del G.S.E., e, d’altro canto, gli obblighi documentali di cui il GSE ha poi preteso l’assolvimento sono stati individuati soltanto ex post (in specie, con i chiarimenti operativi pubblicati nell’anno 2017, cioè ad anni di distanza).
Tutto ciò ha determinato un “effetto sorpresa” per il privato, che viola numerosi principi, anche europei, del procedimento amministrativo: il giudice ha definito una simile modalità di esercizio del potere amministrativo “non tollerabile”.
Infine, la sentenza tratta anche il tema del risarcimento del danno derivante dalla mancata percezione dei TEE, chiarendo che esso debba essere accordato sia per il periodo in cui è stata disposta la sospensione dell’erogazione dei TEE, sia successivamente all’emanazione dell’atto definitivo di annullamento in autotutela.
Per la determinazione della misura del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 34 c.p.a., l’Amministrazione deve valutare il controvalore monetario reale che avrebbero avuto i certificati bianchi se fossero stati oggetto di compravendita, mentre non deve applicare i criteri approssimativi o forfettari di determinazione del valore, tra cui quelli previsti dalle determine ARERA che, come noto, sono spesso applicati dal GSE per la quantificazione degli incentivi da restituire.
In conclusione, le pronunce risultano di estrema importanza per gli operatori del settore, perché:
Il caso di specie tratta di un procedimento di annullamento d’ufficio avviato dal Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.a. che aveva annullato una serie di richieste di verifica e certificazione (RVC) dei risparmi conseguiti da altrettanti interventi di efficientamento energetico e, di conseguenza, aveva dapprima sospeso l’erogazione dei Titoli di Efficienza Energetica e, in seguito, richiesto la restituzione degli incentivi in precedenza erogati all’operatore.
L’annullamento si basava sulla mancata trasmissione da parte dell’operatore, nel corso del procedimento di annullamento di ufficio, di copiosa documentazione che, a detta dell’Ente, sarebbe stata necessaria per il mantenimento degli incentivi.
Due le questioni – di fondamentale importanza – trattate dal Consiglio di Stato:
(1) la natura del potere esercitato dal GSE e il relativo obbligo del giudice di valutarla caso per caso;
(2) la possibilità o meno per il GSE di richiedere, in un momento successivo all’approvazione dei progetti, documentazione la cui conservazione non era originariamente prevista.
Sulla base dei motivi sollevati in appello, il giudice ha anzitutto analizzato la natura del potere esercitato dal GSE. Quest’ultimo infatti sosteneva la legittimità e la fondatezza del provvedimento di annullamento d’ufficio in quanto sorto all’esito dell’esercizio del potere di verifica e controllo previsto all’articolo 42, del d.lgs. n. 28/2011 in materia di incentivi pubblici erogati dal GSE, che, a fronte di “violazioni rilevanti”, comporta la decadenza dagli incentivi.
Il giudice, tuttavia, considerate le tesi sostenute dalle parti, ha chiarito che la valutazione della natura del potere esercitato dal GSE debba essere effettuata caso per caso, non potendosi dare per scontato che il potere esercitato sia sempre quello di decadenza previsto dall’art. 42 d.lgs. 28/2011. In particolare, per compiere tale valutazione, è necessario considerare sia elementi sul piano formale che sul piano sostanziale.
Sul primo punto, il giudice, alla luce del tenore letterale delle espressioni utilizzate nei provvedimenti e del valore sistematico e funzionale che le stesse assumono rispetto all’oggetto dell’azione amministrativa, secondo le forme, i contenuti e i fini che hanno caratterizzato l’andamento del procedimento amministrativo, rileva come laddove il GSE adotti termini come “autotutela” e “annullamento d’ufficio”, richiamando espressamente la legge generale che tratta dei principi del procedimento amministrativo (L. 241/1990), questo sia sintomo, sul piano formale, di esercizio del potere di annullamento.
Quanto al piano sostanziale, il Consiglio di Stato ha appurato che il provvedimento impugnato è stato determinato non già da accertate violazioni o trasgressioni, da parte del beneficiario degli incentivi, di previe e puntuali prescrizioni contenute in norme di legge o di regolamento o in atti amministrativi generali, e neppure da esiti sfavorevoli in sede di verifica della veridicità (o meno) delle dichiarazioni rese e dei documenti prodotti (che sono poi le ipotesi tipiche su cui si esplica il diverso potere di verifica e controllo del G.S.E.), ma dalla carenza di documentazione asseritamente necessaria ab initio per l’ottenimento del beneficio.
Pertanto, la pretesa del G.S.E. di accertare un’illegittimità originaria del provvedimento di concessione degli incentivi, sulla base della quale annullare tale atto, in tali casi è espressione dell’esercizio di un potere sostanziale di autotutela e non di decadenza.
Di conseguenza, l’Amministrazione deve applicare il regime giuridico pertinente al potere che sta esercitando, altrimenti si verrebbero a configurare dei poteri ibridi, in cui l’Amministrazione combina basi legali differenti allo scopo di fruire degli effetti giuridici maggiormente convenienti rispetto al fine di volta in volta perseguito. Ciò risulta contrario a numerosi principi che regolano il procedimento amministrativo e, come statuito dal giudice, risulta “inaccettabile”.
Accertato dunque che dal punto di vista formale e sostanziale si trattava dell’esercizio di un potere di autotutela e non di decadenza, il regime giuridico che regola tale potere è quanto previsto all’articolo 21nonies della L. 241/1990, che prevede, prima dell’adozione di un provvedimento negativo, la ponderazione tra gli interessi pubblici e privati coinvolti e il rispetto del termine di 18 mesi tra il provvedimento di attribuzione dei vantaggi economici e l’annullamento degli stessi, che, nel caso di specie, era stato ampiamente superato.
Entrando nel merito delle motivazioni che hanno spinto il GSE ad adottare un provvedimento di annullamento, l’Ente sosteneva di non poter comunque applicare al caso di specie i principi dell’articolo 21nonies, perché l’appellante avrebbe rappresentato “una situazione diversa da quella reale” e, dunque, si rientrerebbe nella deroga del comma 3bis dell’art.42 del d. lgs. 28/2011, che deroga ai principi dell’art. 21nonies in caso di dichiarazioni false o mendaci rese dell’operatore.
Come già sopra illustrato, il giudice non ha però condiviso la tesi difensiva dell’Amministrazione, in quanto non vi è stata alcuna effettiva verifica da parte del GSE rispetto alla dimostrazione delle presunte falsità.
Il secondo principio cardine che emerge dalla sentenza è relativo alla qualità e alla quantità della documentazione da conservare.
Il GSE, infatti, aveva posto a fondamento dell’annullamento il fatto che l’appellante non avesse prodotto e conservato della copiosa documentazione.
Come riconosciuto dal giudice, tuttavia, all’epoca della presentazione delle richieste di incentivo non vi era alcuna norma che stabilisse ex ante quale e quanta documentazione andasse conservata per essere prodotta a richiesta del G.S.E., e, d’altro canto, gli obblighi documentali di cui il GSE ha poi preteso l’assolvimento sono stati individuati soltanto ex post (in specie, con i chiarimenti operativi pubblicati nell’anno 2017, cioè ad anni di distanza).
Tutto ciò ha determinato un “effetto sorpresa” per il privato, che viola numerosi principi, anche europei, del procedimento amministrativo: il giudice ha definito una simile modalità di esercizio del potere amministrativo “non tollerabile”.
Infine, la sentenza tratta anche il tema del risarcimento del danno derivante dalla mancata percezione dei TEE, chiarendo che esso debba essere accordato sia per il periodo in cui è stata disposta la sospensione dell’erogazione dei TEE, sia successivamente all’emanazione dell’atto definitivo di annullamento in autotutela.
Per la determinazione della misura del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 34 c.p.a., l’Amministrazione deve valutare il controvalore monetario reale che avrebbero avuto i certificati bianchi se fossero stati oggetto di compravendita, mentre non deve applicare i criteri approssimativi o forfettari di determinazione del valore, tra cui quelli previsti dalle determine ARERA che, come noto, sono spesso applicati dal GSE per la quantificazione degli incentivi da restituire.
In conclusione, le pronunce risultano di estrema importanza per gli operatori del settore, perché:
- riconoscono la necessità, da parte del giudice, di valutare caso per caso il potere esercitato dal GSE, non potendosi dare per scontato che i provvedimenti negativi del GSE siano necessariamente espressione del potere di decadenza;
- sanciscono l’obbligo per il GSE di rispettare i principi dell’art 21nonies (quindi del termine di 18 mesi e della necessaria ponderazione degli interessi) quando, di fatto, viene esercitato il potere di autotutela;
- sanciscono il divieto per il GSE di adottare un provvedimento negativo sulla base della mancata trasmissione di documentazione che all’epoca dell’approvazione del progetto non era prevista da alcuna norma o fonte regolatoria;
- riconoscono che il controvalore economico dei TEE, ai fini della liquidazione del danno, deve essere valutato puntualmente e non in modo forfetario.
Avv. Pietro Pizzolato
Avv. Federico Chiopris